sabato 11 novembre 2017

Viale Giotto, una ferita che sanguina da 18 anni

di Nico Baratta


Sono trascorsi 18 anni da quando un palazzo crollò. 67 vittime in pochi secondi. 67 anime che Foggia ogni anno ricorda con struggente dolore, per non dimenticare. In tutti questi anni abbiamo scritto su questa ricorrenza. E come sempre il nodo alla gola rimane per tutta la giornata. Ancora per una volta i foggiani ricordano alcuni loro concittadini. L’11 novembre di 18 anni fa Foggia subì uno dei più grandi shock del dopoguerra. Nel 1999 un palazzo si sbriciolò in pochi secondi sotterrando e uccidendo 67 persone. Bambini, donne, uomini, anziani, perirono atrocemente. Videro inermi e all’improvviso la morte in faccia, riconoscendola e subendola senza poter reagire. Un’atrocità che segnò la città di Foggia, che la inginocchiò innanzi a fatalità che potevano essere evitate. Tutti s’interrogarono sulle condizioni statiche di quel palazzo e poi degli edifici presenti in città.

67 foggiani, che con immenso amore ho chiamato fin dall’inizio “Gli Angeli di Viale Giotto”, subirono l’imperizia di alcuni nostri concittadini che costruendo e poi modificando lo stabile causarono l’implosione dello stesso. Furono portatori di morte.

Il ricordo in noi è ancora vivo. In me è ancora vivo, forse perché come altri persi persone care, un caro amico. Quel giorno sanguina nel mio cuore, lo stesso di tanti altri che fu dilaniato dal dolore. Un cuore fatto a brandelli, che tuttora mi soffoca al solo ricordo, rafforzato dal tetro spettacolo di tante bare marroni, l’una dietro l’altra, maculate da qualche di color bianco. Quel giorno la morte si sentì, si respirò, si vide.

A Foggia la ricorrenza è commemorata dalle istituzioni, dalla società civile, dai foggiani. Ma è anche ricordata nei dettagli di chi ha perso i suoi cari. Vi propongo una struggente testimonianza di una donna orfana per la tragedia, oggi mamma che vuol mantener acceso il ricordo, perché è giusto che sia così, una donna che aveva un fratello a me molto caro. Ciao Luigi.

«Era il 10 novembre 1999, decisi alle ore 15.30 circa di prendere un treno che mi salvò la vita. Sapevo che di lì a poco sarebbe successo qualcosa alla mia famiglia a mia madre con cui vivevo in simbiosi, ma non capivo cosa, lei stava bene...in quel treno avvertii fortemente il senso della morte, ma avevo poco più di vent'anni, non conoscevo ancora il significato della vita e della morte. Durante la notte continuai con un sogno ad avvertire quella sensazione di stranezza, era lì il mio palazzo ove ero vissuta ventitré anni, e riconoscevo alcuni amici che cercavano di gettarsi da quel palazzo. Mi svegliai la mattina, appresi la notizia ai Tg. Già sapevo che non li avrei mai più visti, toccati, amati. Il giorno stesso ero diventata donna con tutte le sue complicazioni caratteriali e umane. Tutto ciò sfociò in una guerra con il sindaco dell'epoca, ovviamente vinta da me. Ormai perdonato, ma non scorderò mai la sua crudezza e sarcasmo, per fortuna sono la somma caratteriale vivente dei miei genitori...E così 18 anni dopo, dalla tragedia non posso fare a meno di ricordarli ed amarli...
Io so che siete sempre con me. Vi voglio bene».
[Giovanna Zezza Ronin]

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